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Con questo articolo il team S&C inaugura il 2022 e un nuovo tema che approfondiremo nei prossimi mesi: il legame fra digital servitization, sostenibilità e scalabilità.
Lo studio preliminare a questo articolo introduttivo mi ha portata alla considerazione che la sua stesura dovrebbe essere corale con i miei colleghi in quanto, le conoscenze e competenze richieste, sono ampie e multidisciplinari e spaziano dalla governance, alla cultura organizzativa, al digital, alla finanza, agli strumenti di pianificazione e controllo, al marketing strategico, per citarne alcuni.
Per questo motivo, nel corso dell’anno, ci alterneremo con riflessioni e punti di vista diversi su queste tematiche, con l’obiettivo di evidenziare come il cambio di paradigma in atto richieda un’evoluzione del DNA dell’intero “organismo” aziendale.
Premessa
Se i termini servitizzazione e sostenibilità non sono nuovi nel nostro blog, dedichiamo qualche riga alla definizione del termine “scalabile”.
Un business o un progetto sono scalabili quando possono crescere, anche in modo esponenziale, senza un impiego di risorse proporzionale grazie alle economie, appunto, di scala. Queste presuppongono una struttura dei costi dove i costi fissi – anche importanti – sono stabili nel medio e lungo periodo e i costi variabili sono contenuti, tale da permettere maggiori ritorni sull’investimento al crescere del business.
Il contesto
È sotto gli occhi di tutti la crescente sensibilità e urgenza dell’agenda politica e sociale di favorire l’adozione di modelli di produzione e consumo più sostenibili, come dimostrato anche dagli ultimi programmi comunitari – Next Generation EU – e nazionali – PNRR.
Entrambi promuovono la transizione all’economia circolare e spingono verso una maggiore integrazione tra sostenibilità e digitalizzazione. In particolare, il PNRR ha stanziato 13,8 miliardi di euro per gli interventi nell’ambito Transizione 4.0 (che sostituisce i precedenti Impresa 4.0 e Industry 4.0) per il passaggio alle tecnologie abilitanti la quarta rivoluzione industriale (4IR).
Il sistema impresa, in aggiunta a queste “spinte” politiche, deve rispondere anche alla crescente esigenza di razionalizzazione delle catene del valore mondiali e alla trasformazione digitale, passata da un “nice to have” a “must have” con l’accelerazione data dalla pandemia Covid-19.
Negli ultimi anni la trasformazione digitale si è espressa in prevalenza nei processi rivolti al cliente, tralasciando gli investimenti in processi interni, meno visibili ma con impatti maggiori sulla produttività e sulla sostenibilità (eco-efficienza).
In risposta al ritardo della comunità produttiva globale nell’adozione delle tecnologie 4.0, nel 2018 il World Economic Forum, in collaborazione con McKinsey, ha istituito il Global Lighthouse Network. Questa piattaforma di condivisione e apprendimento riunisce i produttori globali che dimostrano una leadership nell’uso delle tecnologie 4IR, e mostra gli approcci organizzativi migliori all’adozione e alla scalabilità delle tecnologie 4.0.
Tra i produttori “fari”, tre stanno anche ricevendo una nuova designazione, Sustainability Lighthouses, che identica le fabbriche e le catene del valore che raggiungono innovazioni in termini di sostenibilità e produttività.
Grazie agli stanziamenti comunitari e all’ingente liquidità presente sui mercati finanziari, nei prossimi anni il sistema impresa Italia potrà avviare (o proseguire) un vero e proprio processo di ristrutturazione industriale. A dimostrazione della capacità delle nostre imprese di esprimere i massimi livelli di innovazione, nel 2021 due aziende italiane si sono aggiunte ai circa 90 membri mondiali del Network: De’ Longhi e Protolabs.
La strada possibile
La singola impresa come può rispondere ai mega-trend in atto? Una strada possibile che si sta consolidando è quella dell’investimento nello sviluppo di modelli di business servitizzati e nella digitalizzazione, come mezzo per conseguire benefici economici, sociali e ambientali.
Le aziende di ogni settore e dimensione possono trarre beneficio dalle tecnologie 4.0 per rileggere i bisogni dei clienti e soddisfarli in un nuovo modo, compatibile con le risorse disponibili. Il modello della servitizzazione, che implica il passaggio al “product as a service”, si inserisce a pieno diritto nei modelli abilitanti la transizione green e giocherà un ruolo importante nell’economia circolare, comportando un risparmio di risorse e un uso più efficiente dei prodotti.
Il connubio digitale e servitizzazione, da cui deriva appunto il termine “digital servitization”, migliora l’eco-efficienza dei prodotti anche mediante la manutenzione predittiva che ne allunga la durata di vita.

Affinché la digitalizzazione esprima appieno il suo valore trasformativo per l’azienda, deve essere scalabile in tutta l’organizzazione. La scalabilità è per gran parte delle imprese il maggior ostacolo al successo della trasformazione digitale e rappresenta una sfida da superare per non arenarsi nelle fasi pilota dei progetti di innovazione. Basti pensare che anche le eccellenti imprese appartenenti al Global Lighthouse Network, nel 70% dei casi, sono bloccate in fasi pilota di sviluppo (definito “pilot purgatory”).
Le aziende sono spesso bloccate in quanto nel tempo hanno stratificato un insieme di soluzioni spot per risolvere problemi una tantum, creando così un complesso patchwork tecnologico che ostacola la scalabilità dei progetti di successo. Lo scaling dell’innovazione può inoltre essere ostacolato dalle barriere organizzative e culturali dell’impresa e del suo management, dalle lacune di competenze e da processi aziendali inadeguati.
Si evince che la natura drastica del cambiamento richiesto alle imprese per attuare con successo la trasformazione digitale, in chiave di servitizzazione o meno, impone la revisione/ristrutturazione del modello di business e della cultura aziendale, comportando un importante impegno e determinazione e una pianificazione approfondita.
Dalle parole ai fatti
Dall’analisi effettuata da McKinsey sul Global Lighthouse Network, è emerso come queste aziende abbiano registrato molteplici benefici dall’adozione delle tecnologie 4.0:
- Riduzione tra il 30% e il 50% dei tempi di fermo macchina
- Miglioramento tra il 15% e il 30% della produttività
- Aumento tra il 10% e il 30% della capacità produttiva
- Riduzione tra il 10% e il 20% del costo della qualità.
Queste innovazioni creano un impatto lungo tutta la catena del valore che può essere ancora più importante, anche se più difficile da misurare, a livello di: maggiore flessibilità nel soddisfare i bisogni dei clienti, maggiore velocità di commercializzazione e miglior integrazione all’interno della catena di fornitura.
Il 64% dei “fari” ha inoltre dichiarato un impatto positivo sulla sostenibilità come parte della loro trasformazione 4.0, derivante da casi d’uso diretti – ossia progettati appositamente per la sostenibilità – o da casi d’uso indiretti – progettati per altri scopi ma con risultati anche per l’ambiente.
Si sottolinea come conseguire singolarmente gli obiettivi della sostenibilità o dell’efficienza non equivalga a raggiungere l’eco-efficienza: la loro combinazione è un must.
Avvicinandoci al nostro Nord-Est, che risultati ha portato a casa De’ Longhi nel suo stabilimento di Mignagola (TV)? Il sito si è distinto per aver avere investito in soluzioni digitali, tecnologiche e analytics raggiungendo importanti obiettivi in termini di efficienza e crescita della competitività:
- Riduzione del 92% del lotto minimo di produzione
- Riduzione dell’80% del tempo intercorrente tra il ricevimento dell’ordine e la messa in produzione
- Aumento della produttività del lavoro del 33%
- Miglioramento della qualità del prodotto del 33%
- Riduzione delle emissioni di Co2 del 7% per unità prodotta.
Nicola Serafin, Chief Operations and Technology Officer di De’ Longhi, nell’intervista a seguito della nomina ha dichiarato: “questo riconoscimento corona un percorso intrapreso dal Gruppo ormai da diversi anni”, ricordandoci che per raccogliere risultati serve tempo.
È dunque il momento per le aziende di preparare il terreno e seminare l’innovazione che, con cura e tempo, porterà valore.

Articolo di Elisa Fabbro,
Market analysis e business due diligence